Pubblicato il: 14 Febbraio 2020 alle 3:13 am

NAPOLI, L’IDEALE DI CALCIO MODERNO DI ANCELOTTI, I MATCH DI RINGHIO CONTRO IL LECCE E L’INTER E GLI ELEMENTI COMUNI DECISIVI.

Il Napoli di Carlo Ancelotti inseguiva l’idea moderna del calcio che si racchiude in una parola, intensità. Il suo 4-4-2 dinamico con un gioco molto diretto e la ricerca nel mercato di giocatori con gamba, Elmas o l’attaccante del Valencia Rodrigo, erano elementi che avrebbero dovuto fare della squadra partenopea una realtà all’avanguardia. Una delle ragioni per utilizzare il 4-4-2 al contrario del 4-3-3 sempre più comune nel calcio in tutto il mondo, era, a detta dello stesso Ancelotti, la facilità nell’effettuare il pressing alto uomo a uomo sulla difesa a 4 degli avversari, salendo poi con uno dei due centrocampisti a pressare il centrocampista rivale che si abbassa per ricevere la palla dai suoi difensori o portiere. Per la verità, tranne in alcune partite, non è mai parso efficace il pressing fatto dalla squadra, e ciò ha portato a conseguenze disastrose. Perché è “moderno” l’ideale calcistico dell’attuale Ancelotti? Nel 2007 il Milan allenato dallo stesso Carletto correva dai 9 agli 11 chilometri, più o meno quanto corrono le squadre oggi. Quello che è cambiato nell’attualità del calcio mondiale è l’intensità citata inizialmente. Dei circa 10 km il dieci per cento, 1000 metri, deve essere effettuato a una velocità media maggiore di 20 km orari. Da non confondere questo concetto con uno scatto che può raggiungere anche i 30 km orari, l’intensità è la ripetizione dei movimenti a una velocità superiore ai 20 km orari. Una squadra che gioca in questa maniera raggiunge una prestazione ottimale eseguendo tra le 50 e le 80 azioni ad alta intensità. Da ricordare a tal proposito gli allenamenti del Napoli in ritiro precampionato, molto più brevi rispetto a quelli “didattici” di Sarri, ma molto intensi. Le azioni di questo tipo includono anche il pressing, che anzi trova la sua realizzazione proprio nelle corse ripetute nel compiere una pressione avanzata sulla difesa avversaria, tutto ciò però ha dei tempi. E’ calcolato statisticamente che se effettuando il pressing si ruba il pallone tra 1 e 6 secondi, ci si ritrova praticamente nella porta avversaria, ci sono poi altri 4 secondi, fino a 10, per tentare di recuperare la sfera, se non si riesce, la squadra deve indietreggiare verso il propio campo. Bisogna indietreggiare perché si diviene vulnerabili, è calcolato infatti che non si riesce ad effettuare il pressing ad alta intensità per più di 10 secondi. Le statistiche, su cui poi gli allenatori basano le fasi di gioco e l’interpretazione che le squadre devono avere di determinati momenti della gara, mostrano quindi che: rubando la palla entro 6 secondi, si fa praticamente gol, entro i 10 secondi c’è un’alta percentuale di creare chance di gol, ma passati i 10 secondi, se la squadra continua nel tentativo di fare un pressing alto ed “intenso”, si riscontra che dai 10 secondi ai 14, l’avversario è in grado di arrivare presso la tua porta, e che dai 10 secondi ai 20, l’avversario arriva presso la tua porta e fa gol. Ciò accade perché venendo meno l’efficacia del pressing, la squadra rivale riesce a uscire agevolmente con la palla incontrando poi meno avversari andando verso la porta rivale. Come far assimilare queste tempistiche/dinamiche del pressing alla propria squadra? Oltre ovviamente agli allenamenti, bisogna avere in campo dei calciatori con capacità di lettura della gara e dei momenti. Generalmente ci sono 3 giocatori che danno ordini in tal senso alla squadra, il portiere, un difensore centrale ed un centrocampista, persone possibilmente di esperienza. Questi quindi, una volta percepito che l’azione di pressing è diventata fiacca e gli avversari “rompono” la pressione portata dalla linea di 4 giocatori (ad esempio Insigne, Mertens, Milik e Callejón) e avanzano palla al piede, richiamano la squadra per indietreggiare e riposizionarsi. Al fine di perfezionare il tutto vengono svolti degli allenamenti, palla persa e pressing successivo, oltre a quelli della difesa, prevedendo la possibilità che il pressing alto possa portare al lancio lungo della squadra avversaria, molte volte sull’esterno, e quindi la linea dei 4 difensori non deve attaccare la palla, bensì indietreggiare di 15/20 metri dando tempo ai centrocampisti di ritornare. Come accennato prima nel Napoli di Ancelotti, oltre a essere venuti meno uomini guida quali Reina, Albiol e Jorginho (definito dall’allenatore del Chelsea un leader), delle caratteristiche del calcio “intenso” si vedevano, ma eseguite non al meglio, tanto il pressing alto, fatto con poca convinzione e tempistiche sbagliate, come la fase difensiva successiva alla pressione. Quasi sempre la squadra appariva divisa in due parti, con un un centrocampo inesistente e la difesa che non saliva più di tanto. Si notavano chiaramente cinque giocatori presso l’aria avversaria e altri cinque 5/10 metri dietro la linea di centrocampo. Erano disponibili praterie aperte per gli avversari che con rapidi scambi si avvicinavano verso l’area partenopea mentre un Allan disperato correva all’indietro insieme ai difensori: il Napoli subiva azioni da gol e gol da qualsiasi avversario, perfino dalla Cremonese in fase di preparazione. Con l’arrivo di Gattuso c’è stato il ritorno al 4-3-3, la ricerca di “stabilità”, di palleggio e un tentativo di pressing. Le ultime due partite però, contro il Lecce in campionato e contro l’Inter in coppa, hanno mostrato che anche se con modulo, uomini ed alcune interpretazioni differenti, ci sono similitudini con l’andamento delle gare del vecchio Napoli ancelottiano. La gara contro i salentini è iniziata in totale controllo, un primo tempo con possesso palla, folate e un buon numero di azioni chiare da gol create, poi il gol avversario, complici i movimenti difensivi inesistenti, che ha buttato giù l’animo della squadra ed indirizzato la partita. Copia e incolla di tante gare viste sotto Carletto nelle sue due stagioni al comando. Il fattore psicologico appare determinante o quanto meno la perdita improvvisa di sicurezza è evidente e persistente. La partita contro l’Inter in Coppa Italia invece può ricordare le partite di Champions con Ancelotti alla guida disputate contro Liverpool o PSG, giocate in maniera accorta e con pochi e letali guizzi offensivi che portarono alla vittoria o al pareggio. La partita di Milano ha visto gli uomini di Gattuso tentare il pressing alto nei primi 10/15 minuti, correndo tanto ma non recuperando mai il pallone che se anche lanciato lungo rimaneva preda dell’Inter. Quindi il Napoli è indietreggiato più saggiamente in campo e da quel momento ha fatto dal punto di vista difensivo una partita tatticamente perfetta. Mertens a coprire sempre la linea di passaggio su Brozovic e i suoi compagni azzurri ad occupare ogni possibile zolla della metà campo partenopea, forzando quindi i 3 centrali difensivi interisti a lanciare lungo inutilmente, senza profondità concessa ai loro attaccanti e con palloni che andavano direttamente oltre la linea di fondo. Mertens ha fatto una grande partita di sacrificio, correndo facendo del pressing all’altezza del centrocampo ed essendo di appoggio per i compagni ricevendo il pallone giostrandolo al meglio con tecnica ed esperienza. In fase di possesso il Napoli è andato via bene dal pressing dell’Inter alcune rare volte ed ha imbastito grazie anche a un Demme sempre più asse insostituibile del centrocampo, poche ma belle e pericolose azioni, una delle quali ha portato successivamente al golazo di Fabian Ruiz. E’ bastato per vincere, ma come detto dallo stesso Gattuso, la squadra deve migliorare nella creazione e sviluppo del gioco, riconoscendo anche che al momento non è possibile fare il pressing alto perché, essendo ancora inefficace, si rischia di “regalare giocatori” agli avversari, ossia di rimanere scoperti. Ovviamente contro la maggior parte delle squadre, nonostante la triste posizione in classifica, il Napoli in campionato dovrà fare la partita. E per la verità anche con Ancelotti, che in entrambe le stagioni ha avuto una media punti migliore di Gattuso, molte volte il Napoli faceva la sua partita contro le squadre “piccole”, anche in maniera intensa e creando tante occasioni a ripetizione. Basti citare la partita fuori casa contro l’Udinese, 5 tiri per i Friulani, 18 tiri del Napoli, risultato 1 a 1. Al di là dei problemi tattici e dell’ostinazione, per molti, di non voler giocare con il 4-3-3, quello che accadeva con Re Carlo, era che pur creando tante occasioni, il Napoli non segnava, arrivava facilmente un contropiede avversario con immancabile gol e la squadra perdeva fiducia e a volte la partita. Tralasciando tutto quello che è accaduto in questa stagione, tra dichiarazioni, ritiri, squadra che oramai sembrava aver perso fiducia nei metodi di Ancelotti, contratti non rinnovati e multe, due problemi, peraltro collegati tra loro, sono quindi presenti tanto nel Napoli di Carletto come in quello di Rino, la squadra segna con difficoltà e poco in relazione alle situazioni create, e si abbatte, anche in conseguenza di ciò, perdendo la fiducia/speranza, sciogliendosi alle volte e non mostrando nessun tipo di “risposta agonistica” al presentarsi di una prima difficoltà. Contro il Lecce Politano è apparso non in sintonia con i compagni, giocando per lo più da solo o rientrando verso il campo per avere la palla sui piedi, invece di scattare alla Callejón in profondità sul secondo palo, mettendo in difficoltà Insigne e lo sviluppo delle azioni da gol. (Politano e il centravanti polacco del Napoli dovrebbero “andare a scuola” di tattica da Mertens e Callejón, tanto per la fase difensiva, come di pressing e di creazione di azioni di attacco). Lo stesso Insigne contro il Lecce è apparso poco brillante così come gli altri suoi compagni, però, nonostante ciò, il Napoli ha creato occasioni chiarissime da gol che potevano ammazzare la partita nel primo tempo, ma non l’hanno messa dentro. Milik ha una grande media gol, ma quando sembra servire, non appare, non segna, Zielinski fa grandi partite ma la freddezza sotto porta non è il suo forte e così a seguire. La speranza per il Napoli in questa stagione è Mertens, il frugoletto belga ha tecnica, esperienza e “cazzimma” per creare situazioni pericolose anche con la squadra non al massimo mentalmente, e soprattutto ha il gol nei piedi. Alla fine è ovviamente importante difendersi bene, però, che si giochi con schemi diversi, con una difesa non eccezionale, quella di Gattuso lavora molto meglio rispetto alla sconclusionata linea a 4 di Ancelotti, che ci sia equilibrio o meno, una cosa fondamentale è che se hai/crei occasioni da gol devi avere giocatori che la mettano dentro.

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